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Dal 4 al 24/10/24 Mostra personale di Soile Yli Mayry al Medina Art Gallery

Dal 4 al 24 ottobre 2024

MEDINA ART GALLERY – VIA MERULANA, 220

Mostra personale di

Soile Yli Mayry

…è una pittrice finlandese che affonda le radici della sua arte nell’espressione delle emozioni attraverso opere astratte dai colori vivaci e accesi. Soile nasce, vive e lavora a Kuortane, in Finlandia, ma durante l’inverno, quando le temperature diventano polari, espone le sue opere all’estero. Sebbene Soile non ami parlare della sua vita privata, è importante sottolineare che il contesto familiare ha avuto un ruolo significativo nella sua crescita come artista. Cresciuta in una famiglia numerosa, Soile ha vissuto con genitori sordomuti, dove il linguaggio dei segni era la norma. Questa esperienza ha impresso in lei l’importanza dei segni, che si riflettono nelle sue opere.

Fin dalla giovane età, l’artista ha sempre manifestato una chiara passione per il disegno e l’arte. Dipingeva i suoi primi quadri in un rifugio antiatomico senza finestre, esprimendo ciò che non poteva vedere con i colori sulla tela. Il punto di svolta nella sua vita e carriera artistica è arrivato quando ha scoperto casualmente un quadro di Kokoschka, un momento di ispirazione che l’ha spinta a viaggiare a Vienna per studiare l’arte. Ha 18 anni quando con il papà si reca per la prima volta in banca per chiedere un piccolo prestito che le permetta il viaggio di sola andata nella capitale austriaca dove nella sua mente pensa di mantenersi lavando i vetri dell’ospedale.

Al direttore della Banca…

…ricorrerà 25 anni dopo per costruire la sua galleria ed egli si dimostrerà come uno dei suoi più grandi sponsor (nella sua biografia, l’artista ricorda che aveva già comprato le cambiali per restituire il suo debito quando il direttore della Banca, durante una delle sue prime mostre, la sostiene ancora una volta acquistando un quadro).

Nel suo lavoro, Soile Yli-Mäyry si ispira a Beuys, un artista che ha creato una propria teoria artistica e ha influenzato molti campi. Anche lei come molti artisti ha passato un periodo di difficoltà lavorativa toccando dei veri e propri “punti morti”. Nei quali si sentiva incapace di comunicare con la sua creatività. Senza perdersi d’animo, a 35 anni inizia a frequentare un corso di sociologia all’Università di Helsinki e racconta che più si concentrava nello studio più le ritornava l’indole di dipingere e di superare la crisi del “punto-morto”. La sua arte affronta temi come il sogno, la forza della natura, la freneticità del tempo moderno e l’alienazione causata dalla tecnologia. Soile attraverso le sue opere cattura la “fragilità umana”, cercando di superare le divisioni e i pregiudizi.

Nei dipinti esposti…

…si notano soprattutto i colori, tutti i colori della tavolozza. Essendo un’ecologista convinta ripete che, se Dio ha creato una miriade di fiori dai colori diversi e particolarissimi perché non si dovrebbero usare? I colori appaiono anche sugli abiti che sceglie volontariamente di pelle perchéSoile Yli Mäyry, dice, viaggiando molto e spesso, non necessitano del ferro da stiro e non prendono le pieghe. Anche nei suoi totem e negli oggetti in vetro che produce a Murano, i colori la fanno da padrone. L’ esposizione, dunque, promette un’immersione nel mondo dell’artista, fatto di colori vivaci e astrazioni che invitano il pubblico a esplorare la complessità dell’umanità e la sua relazione con la natura in un mondo sempre più urbanizzato.

Dal 4 al 10/10/24 “Oltre l’ultimo respiro” Mostra al Medina Art Gallery

Dal 4 al 10 ottobre 2024

MEDINA ART GALLERY – VIA A. POLIZIANO 4,6

Oltre l’ultimo respiro

Mostra bipersonale di

Daniele Sbaraglia

e

Alessandro Trani

È lì – oltre – che si cela il significato, capace di trascendere l’ultima pennellata. È nell’apparente conclusione dell’opera che l’arte ha inizio. Al suo epilogo si innesta un nuovo prologo. Un flusso che si alimenta nello scambio continuo tra creatore e fruitore. L’artista dona vedute, simboli, intuizioni e l’osservatore, come abbandonandosi tra le sue braccia, si lascia trasportare attraverso un viaggio, senza troppi indugi. Al di qua della veste pittorica magari un messaggio c’è, ma – se c’è – non va inseguito e, semmai, si trova al di là, nei più reconditi meandri del nostro inconscio. Un viaggio immaginifico, dunque, che ha connotazioni surrealiste, ma che non è mai fuga dalla realtà, piuttosto un allontanamento temporaneo negli alentours della nostra anima. La narrazione artistica, qui, si delinea attraverso un linguaggio che è innanzitutto respiro, prende vita dal vissuto, e al suo esalare, ci viene consegnata sotto forma di reminiscenza emotiva.

Tutto parte dunque da un’esigenza comunicativa che intraprende però due percorsi ben distinti.

Daniele Sbaraglia

L’espressione presso Sbaraglia è imperante. Lo sguardo dell’osservatore viene travolto da simboli, figure accennate, paesaggi allegorici, quasi visioni oniriche, un po’ sfocate, dunque, ma che portano con sé un messaggio significativo. L’arte di Sbaraglia cerca di smuovere l’osservatore su qualcosa di imminente, inerente al secolo e alla società in cui vive. Il risultato è antitetico, a volte incoerente nell’apparenza: l’artista agisce con un segno essenziale, leggero, e al contempo dinamico e deciso, così personale che all’osservatore appare criptico e impenetrabile, quasi a voler proteggere la sua arte, tenerla per sé, per poi riconsegnarla ad un mondo che la rifaccia sua. Difatti, gli elementi che riempiono lo spazio della tela sembrano apparentemente estranei alla rappresentazione, mentre svolgono una funzione all’interno dell’opera, ma che prende vita a sé stante.

L’osservatore, dunque, deve approcciarsi alla cripticità della tela con una tale sensibilità da estrapolare il proprio di significato, facendosi guidare attraverso questo viaggio introspettivo dalle morbide suggestioni che l’artista gli affida. Una visione artistica che trova la sua ragion d’essere in una particolare inclinazione dell’artista, la sua profonda empatia. Sbaraglia si pone in ascolto con il mondo. Ogni esperienza passa per il filtro della sua recettività, per poi riversarsi sulla tela sotto forma di gesto artistico. In questo processo di trasposizione, la velocità del pensiero fa sì che reale e surreale si sovrappongano, plasmando una composizione, il cui progetto artistico appare misterioso e sereno al contempo, perturbante dunque. Il risultato è senza dubbio affascinante.

Alessandro Trani

L’artista ci regala un mondo diverso. Qui regna la calma. Non assistiamo a un mare in burrasca, al massimo, si può scorgere un’onda timida, che a volte non segue il corso previsto. Lo sguardo si perde nell’infinito, generato dall’incontro tra il cielo e il mare, con una luna, a volte presente, ma sempre cangiante, come l’animo umano. I suoi mari guidano l’osservatore attraverso un mondo interiore, ovattato, lontano dal caos, dalla foga del vivere.

Trani dipinge come un poeta romantico, i suoi paesaggi marini sono luoghi dell’anima, appartengono a una dimensione metafisica dove rifugiarsi e meditare. Per un attimo l’anima sembra calmarsi e il cuore battere al ritmo di quell’onda che si riversa sulla riva. Una sensazione di quiete a tratti ipnotica, data da un’estrema eleganza della sua pittura, quasi sussurrata all’orecchio, il cui suono riecheggia, come il rumore del mare, capace di appagare l’anima di chi lo guarda. L’artista riesce a fissare l’istante, immortalando un paesaggio marino che sfugge alla definizione temporale o di luogo, portando l’osservatore ad una interpretazione intima e catartica della vita stessa.

Il mare, come l’uomo…

…custodisce misteri insondabili che non si rivelano facilmente a chi vede, ma solo a chi osserva. I mari di Trani ci costringono a fermarci, e per un attimo l’uomo vince su questo stravivere tossico, imposto dalla società. Come Charles Baudelaire scrisse in L’homme et la mer “Il mare, se sei libero, ti sarà sempre caro!”. In un mondo di apparenze, la sua arte emerge come faro di sincerità, di libertà da tutte quelle sovrastrutture, che ci conduce ad una riscoperta della vera identità di ognuno di noi.

Testo critico a cura di Matilde Spedicati

per la mostra di Alessandro Trani e Daniele Sbaraglia

Dal 27/9 al 3/10/24 “Sguardi nel deserto” Mostra personale di Maria Grazia Eminliani al Medina Art Gallery

Dal 27 settembre al 3 ottobre 2024

MEDINA ART GALLERY – VIA MERULANA, 220

Sguardi nel deserto

Mostra personale di

Maria Grazia Emiliani

 

Testo curatoriale e presentazione a cura di Matilde Spedicati

Rosso. Rosso è passione, rosso è calore, rosso è pericolo, rosso è vita, rosso è anche rabbia, rosso per Maria Grazia Emiliani è Africa – un desiderio che l’artista inizia a coltivare sin da ragazza. Tutto nacque con una lettura, Sognavo l’Africa di Kuki Gallmann. Come spesso accade, i libri ci regalano vedute, mondi e sensazioni inesplorati e la Gallmann fece nascere in lei un fuoco che indagherà solo al termine della propria carriera lavorativa.

Emiliani si diploma all’Accademia delle Belle Arti di Roma – indirizzo scenografia – per poi frequentare l’Istituto di Arti Ornamentali di Roma, dove ha la possibilità di affinare la tecnica pittorica. Dopo gli studi inizia a prestare servizio al Senato della Repubblica, continuando a coltivare la sua passione per l’Arte, seppur non a tempo pieno. Postasi in quiescenza, risfoglia quelle pagine del libro a lei tanto care, decidendo di immergersi nuovamente in esse e di scrivere anche lei pagine del suo “La mia Africa”, come fece Karen Blixen nel 1937.

Ed ecco che si arriva al viaggio: nel 2014 vola verso Sud, più precisamente a Mambrui, villaggio del Kenya situato a nord di Malindi, che con le sue spiagge di sabbia bianca è una delle zone più affascinanti della costa Swahili. Qui, il lusso e il comfort dei resort contribuiscono a immergere il turista in un’atmosfera straniante, distante dalla ben diversa quotidianità vissuta a pochi chilometri di distanza. Ed è lì, nelle più prossime piscine hollywoodiane, che l’artista Emiliani ha deciso di trascorrere all’incirca un mese, prestando assistenza presso l’orfanotrofio Asante Sana (grazie tante, in lingua swahili) dove un terzo dei bambini è siero-positivo.

Seppur Emiliani si esprima anche attraverso l’arte poetica, qui, lascia che sia il visivo, con la forza dei suoi colori, a raccontarci di ciò che ha significato per lei l’Africa. Dal confronto con la sua arte, il fruitore riemerge invaso da sensazioni ossimoriche, una condizione comprensibile, se si pensa che l’Africa è innanzitutto Terra di contraddizioni: è onirismo per la magnificenza del suo creato, è amore e vita allo stato primitivo, ma è anche dramma, violenza, ignoto, quindi pericolo.

Una memoria, dunque, che ritraccia le linee di un paesaggio, di un volto, ancor più di uno sguardo, talvolta intenso, seppur celato da un velo, talvolta manifesto in tutta la sua fragilità per un futuro incerto; e ancora, lo sguardo di una natura a tratti aggressiva e antagonista, a tratti sommessa. Insomma, la memoria di una Terra catartica, capace di scavare nelle profondità dell’anima dell’artista, permettendole di esprimere le emozioni più intime e primitive. Ed ecco un susseguirsi di immagini su tela che – come afferma l’artista – altro non sono che “istantanee strappate alla memoria”. Tale memoria sembra essere pervasa da un senso di primordialità che sulla tela si trasla in motivi artistici: i metteurs en scène delle fondamenta della vita.

Una natura sovrana che è al contempo vita e morte, fa sì che un albero che di per sé è vita, immerso in un contesto arido, diventi morte; una savana desolata, apparentemente inospitale per qualsiasi forma di vita, accoglie animali che sono di questa la manifestazione più pura. Una luna cangiante domina un paesaggio di un notturno turbante, penetrante, che arriva senza annunciarsi: lì, il cielo, a suo piacimento, si serra come un sipario, portando con sé l’oscurità.

E poi i legami. Quello tra madre e figlio, che rimanda al volto materno della Terra africana, più conosciuta come Continente Madre, Culla dell’Umanità – la Terra dove tutto ebbe inizio. Come anche legami, frutto della civiltà, fatti di costumi, simboli, tradizioni, che fanno sì che l’arte di Emiliani si allontani da quell’immaginario proprio dell’arte visiva coloniale, euro-centrica, desiderosa di un’Africa lontana, esotica, magnificente sì, ma vergine e arcaica.

In questa sua fase artistica, Emiliani mette da parte un certo accademismo, anche se relativamente imprescindibile per il raggiungimento di un’espressione che sia fedele alle emozioni che rinascono in lei grazie al ricordo. Una purezza espressiva che riflette la sensibilità di uno sguardo primitivo, intriso di un profondo lirismo, che lo rende incline allo stupore e che lo alimenta in questa continua ricerca di un senso, senza vincoli o pregiudizi, nella consapevolezza delle molteplici sfaccettature della vita su questa Terra, proprio come la sua espressione artistica.

Fotogrammi, impressioni, nuove intuizioni: questo è ciò che ad oggi l’artista custodisce preziosamente di quest’esperienza, insieme ad uno smisurato desiderio di farvi ritorno, in quella Terra dove ha subito e sognato. Ed eccoci di fronte ad una mostra itinerante, in cui ogni quadro è un viaggio senza fine, una rivelazione costante che si manifesta ogni qual volta l’artista decide di riscavare nel proprio passato emotivo. La tela diventa qui metafora della vita. L’una è specchio dell’altra. Così come il dipinto non conosce punto d’arrivo, il racconto della vita è alimentato costantemente da scelte ed esperienze. Qui l’individuale diventa universale e l’esperienza si eleva a messaggio umanitario. Un gioco di specchi in cui l’Arte di Maria Grazia Emiliani permette all’osservatore di immergersi nell’immaginario di un’Africa desiderata, vissuta, amata, sofferta e combattuta, invitandolo, al contempo, a porsi in discussione, riflettendo sul significato degli sguardi indagati.

Dal 27/9 al 3/10/24 “Mostra personale di Marco Marciani” al Medina Art Gallery

Dal 27 settembre al 3 ottobre 2024

MEDINA ART GALLERY – VIA A. POLIZIANO, 4 6

Mostra personale di

Marco Marciani

Testo curatoriale e presentazione cura della Dott.ssa Eleonora Bavastro

Marco Marciani, nato a Magliano Sabina (RI), inizia la sua carriera lavorando come attore, regista di teatro, cinema e tv, insegnando per sette anni all’Accademia Beatrice Bacco le materie: approccio alla telecamera, sensoriale e acting sul palcoscenico. La sua indole all’approccio delle diverse forme d’arte lo ha condotto a perseguire parallelamente le sue numerose passioni, compresa la pittura, creando un immaginario pittorico ricco di contaminazioni artistiche.

Da bambino si divertiva a dipingere la natura del reatino, dove i genitori portavano avanti le loro attività di commercianti e ristoratori, andando alla scoperta dei ruscelli e delle piante, passeggiando per chilometri nei prati, lasciandosi ispirare dai colori della terra e dei campi. Col tempo, analizzando i grandi artisti e studiando le loro opere, le memorie naturalistiche sono diventate l’espressione più rappresentativa della sua pittura, permettendo alla natura congenita dentro di lui di trovare una forma, affinando la ricerca tecnica dei materiali per rendere la sua visione più personale.

Non sa dire se i differenti ruoli artistici abbiano influenzato la sua pittura, la sua capacità di essere lavorativamente poliedrico è stata senza ombra di dubbio la sua forza per essere un artista indipendente, evitando la necessità di dover scendere a compromessi d’autore. Non si possono tuttavia non citare la bravura e la lungimiranza nel saper cogliere l’unicità dalle diverse pratiche artistiche, fondendole e rendendole arte nuova.

La ricercata scelta dei materiali…

…come il tulle, proviene dal teatro, dai vestiti di scena, dai separé della scenografia, l’utilizzo delle trasparenze e della luce, che solo un occhio abituato alla regia sa cogliere, sono state messe in primo piano grazie all’impiego del plexiglass, rendendo il supporto traslucido capace di emanare leggerezza, donando così tridimensionalità alle sue opere, rimandando al gioco di ombre, di chiaroscuri, che i fari e i proiettori cinematografici riescono a creare sul set. Il pittore, in questo modo, agisce rievocando un ambiente sospeso, fluttuante nel suo spazio psichico, avvolgendo di mistero le sue opere.

La bellezza dell’arte per Marco Marciani sta nel fatto che non ha bisogno di un’area circoscritta, si può dipingere ovunque, sporcando e sperimentando. Lasciare le opere in magazzino per l’artista è complicato, anche da un punto di vista pratico, permettergli una corretta asciugatura ha bisogno di spazio e tempo adeguato, così ha voluto ricercare un suo approccio personale alla tela, stendendo su di essa uno strato di colore che andasse a fondersi con il supporto, dando quasi un’idea di stampa o di stoffa floreale, facendolo diventare il suo tratto distintivo.

Le sperimentazioni e lo studio dei grandi come Lucio Fontana lo hanno portato ad interrogarsi sul vuoto, sul tridimensionale, sul vedere oltre la tela. Non ha mai compreso però, durante questi anni di osservazione, l’utilizzo della violenza e della forza per valicare la materia, lo squarcio per strappare il velo. Per questo motivo,
dopo anni di studio, ha portato a termine la sua visione di vuoto, scegliendo la dolcezza ed il romanticismo per oltrepassare la tela, accompagnando l’interlocutore per mano nel suo mondo, senza forzarlo, ponendo così a capo del suo intero processo creativo la continua ricerca della bellezza.

Dal 20/9 al 3/10/24 Sabrina Puppin – “Transizione permanente” Mostra personale al Medina Art Gallery

Dal  20 settembre al 3 ottobre 2024

MEDINA ART GALLERY – VIA POLIZIANO 32, 34, 36

Transizione permanente

Mostra personale di

Sabrina Puppin

a cura di

Matilde Spedicati

Colore. E ancora colore. Il colore sulla forma. Un colore che impatta e che emoziona, che guida la mente verso nuovi immaginari. Laddove vi è razionalità, laddove si intravede una linea delineante mondi e visioni inequivocabili, allora si riparte, perché ad oggi per Sabrina Puppin la parola d’ordine è una sola, astrazione. La realtà presso Transizione Permanente si dematerializza e la percezione diventa strumento di investigazione della sua arte, nonché del mondo e di tutte le impressioni che l’artista da esso assorbe, per poi rilasciarle in forme e colori.

Ma facciamo un passo indietro.

Sabrina Puppin, italiana di nascita, cosmopolita per scelta, vive tra il Qatar e New York. Sin dai suoi studi, decide di dedicarsi interamente all’arte: consegue infatti un dottorato in Studi sull’Arte Africana presso la Union Institute and University di Cincinnati nel 2008 e un Master in Belle Arti presso la School of Visual Arts di New York nel 2018. Durante la sua carriera riesce a conciliare l’insegnamento accademico di tecniche artistiche e di storia dell’arte con ruoli, quali, curatrice di mostre, vice direttore e capo del dipartimento educativo del Museo di Arte Islamica in Qatar, direttore di alcune gallerie di New York, e di una scuola d’arte privata a Doha, mantenendo sempre viva la sua attività di artista praticante – alla quale oggi è totalmente devota.
Una carriera artistica, quella della Puppin, segnata da un prima e un dopo, come una linea del tempo sulla quale viene tracciata una perpendicolare, che coincide con una breve interruzione della sua pratica artistica. Ne consegue un cambio di rotta volto a liberarsi delle strutture consolidate di un realismo dominante che permeava le sue tele, in direzione di un più naturale abbandono di sé stessa alla sperimentazione di un’espressione soggettiva. Una Transizione, appunto, che dà il via ad un percorso intrapreso inconsciamente ma che porta con sé la volontà di interrogarsi sulla realtà, invitando lo spettatore ad intraprendere la stessa riflessione.

L’arte in questione, dunque…

…diventa innanzitutto testimonianza della percezione distorta che l’artista ha del mondo che la circonda, come anche invito allo spettatore ad interrogarsi sulla propria di percezione. Ognuno esperisce la realtà attraverso la sua soggettività: una visione al contempo unica e cangiante, in quanto percepita diversamente in base alla prospettiva che si adotta per osservare. Le forme biomorfiche e i colori shock sussurrano allo spettatore un messaggio che è un invito alla vita, ma che non fa della sua arte un impegno. I colori trasmettono emozioni, le forme invitano alla riflessione e danno la possibilità di sognare ad occhi aperti – una commistione che aggiunge bellezza al mondo, sostituendo il bianco e nero delle sue figure realiste con l’eccentricità delle sue lacche colorate.

Una visione artistica…

…che si lega perfettamente al materiale utilizzato da Puppin, le glazes, vale a dire le tinte lucide che vengono utilizzate per dipingere la ceramica e che necessitano di una grande tecnica e abilità per essere controllate e manipolate. Ad oggi, dopo dodici anni di sperimentazione e un iniziale utilizzo più libero del materiale, che dava vita a impressioni di fluidità, l’artista ha una confidenza tale con la tinta da realizzare un lavoro a più livelli – il cosiddetto overlapping – in cui si sovrappongono più strati di disegno realizzato con l’acrilico, funzionante da blocco per il colore applicato all’interno. Il processo creativo, dunque, si libera da qualsiasi schema precostituito e si abbandona alle sensazioni e all’istinto. Ma non del tutto.

Nell’arte della Puppin c’è sempre stata la volontà di porre una logica, di contenere l’arte attraverso la creazione di limiti fisici: un sistema che inizialmente vedeva la sua realizzazione in shapes canvases – dunque cornici realizzate dalla stessa artista con forme geometriche particolari – e che poi si è evoluta verso il segno di contorni, capaci contenere il colore, non permettendo perciò quell’effetto di miscela.

Transizione Permanente…

…è dunque un progetto artistico che esprime un’evoluzione, perché è esso stesso continua evoluzione. Dall’iniziale sperimentazione di superfici in materiali diversi come il legno o il metallo, fino alla mescolanza di questi ultimi, l’arte della Puppin mantiene una costante: il colore, quale veicolo principale del suo significato. Una sorta di negoziazione tra struttura e superficie, tra componente razionale ed energetica: una combinazione perfetta, capace di manifestare una soggettività, che ha un potere su chi la osserva e che necessita di essere indagata.

Dal 13 al 19/9/24 “Stiamo ballando su un vulcano” Mostra personale di Valerie Honnart al Medina Art Gallery

Dal 13 al 19 settembre 2024

MEDINA ART GALLERY – VIA A. POLIZIANO, 4-6

Stiamo ballando su un vulcano

per quanto tempo ancora?

Mostra personale di

Valerie Honnart

Danzare sul vulcano

Stiamo ballando su un vulcano… Da quando esistono i primi esseri umani, essi sono sempre stati alla ricerca delle bocche di fuoco che le vesciche dei vulcani creano sulla pelle della terra. Quando, durante le loro migrazioni, si imbattono in una di queste bocche del diavolo, fumanti o ruttanti, lo raggiungono con i loro rami di legno. Fascino, ma anche pericolo. A volte riportano la fiamma, a volte ne vengono inghiottiti. Il fuoco, questo primo essere, mobile, sfuggente, pericoloso e prezioso. Per migliaia di anni, i nostri antenati hanno cercato di domare il tremante e violento “Fiore Rosso” conservando le sue braci in vasi di terra.

Danzano sul vulcano per celebrare i suoi benefici: allontanare le bestie feroci, combattere il freddo, addolcire la carne cruda, i tuberi e i semi. Ma sa come protestare quando gli uomini abusano delle danze spensierate. La terra si ricopre allora di pustole gonfie che sputano fuoco devastante. E il fuoco che prima guariva diventa la bocca di un drago che sputa il male.

Neanderthal e Sapiens

Sui Campi Flegrei, a pochi chilometri da Napoli, 400.000 anni fa l’uomo di Neanderthal ballava molto perché la terra rimaneva accessibile, come lo è ora, in mezzo alle sue fumarole. Poi, 39.000 anni fa, un’enorme bolla eruttò qui, formando una caldera che sputò polvere di cenere così lontano che il sole si spense e il cielo azzurro divenne uniformemente grigio. L’Europa orientale e l’Asia sud-occidentale furono investite da un inverno vulcanico. Morirono piante e animali. Gli uomini di Neanderthal non potevano più mangiare né respirare. Scomparvero dalla terra come i dinosauri prima di loro. Il vulcano si vendicò delle loro affermazioni. In seguito, avrebbe fatto lo stesso nella vicina Pompei o sull’isola di Santorini in Grecia. O a Stromboli… Neanderthal, incosciente, aveva ballato troppo.

Poi, dalle profondità dell’Africa, arrivò Sapiens. Attraversò le terre e rispettò i vulcani, ma non danzò più sulla loro pelle, preferendo invece i lampi delle tempeste che gettano fuoco sui corpi degli alberi. Raccoglie i rami che bruciano finché non sa come conservare le braci come il “Fiore Rosso” dei suoi anziani…

Con il passare dei millenni, il Sapiens non si limitò più a raccogliere il fuoco, come il Neanderthal, ma imparò a produrlo: percussione della selce sulla pirite, lungo sfregamento di bastoncini di legno… Si dimenticò il Dio che glielo aveva portato. Mangiava grazie al fuoco, lavorava la pietra e poi il metallo con il fuoco, si difendeva con il fuoco, ma uccideva anche, conquistava e violava con la forza del fuoco.

Valérie Honnart, Danzare sul vulcano

Il caos e il vulcano ci ricordava l’uomo. Ha eruttato da tutte le sue vesciche terrene, ha vomitato i suoi torrenti di fuoco. E l’uomo si trovò gettato nel caos creato dai torrenti incandescenti. Fuggì dalla sua bocca e si gettò ai suoi piedi, diventando suo prigioniero, nell’oscurità dei rampicanti e dei tronchi d’albero carbonizzati. E così fù per il ballerino nero ai piedi del vulcano. Il caos ha precipitato la caduta degli esseri umani. Nel quadro di Valérie Honnart, ad esempio, il corpo di una ballerina capovolta viene risucchiato nel vuoto dell’aria, sospeso, levitante e fatalmente distrutto. La pittura aerea di Valérie contrasta con i suoi disegni festosi.

Dopo averci invitato a danzare sul vulcano, ci trascina nelle frane, dall’eruzione sui pendii vertiginosi alle profondità abissali. Il passaggio dal disegno alla pittura. Il potere del colore del pigmento per immaginare e condividere il rosso del fuoco interiore. E Valérie stigmatizza la rivolta del vulcano: “la caduta” è l’opera cardine che ci porta dalla danza armoniosa alla rottura dell’equilibrio, segnalando la nascita del caos. Il vulcano scuote bruscamente le spalle e la danzatrice cade. Di fronte a una massa di materia in movimento, nulla può fermare il suo ruzzolare tra cielo, terra e acqua. Una pittura senza peso. Un passaggio obbligato verso il rombo del fuoco e a causa di esso.

La fiamma e la cenere

Dopo la caduta, il fascino della bocca del fuoco ritorna sempre più spesso. La fotografia è impotente e la pittura è l’unico modo per avvicinarsi all’interno della terra, al suo fuoco interiore e centrale. Colori rossi e neri: fiamma e cenere. Una lunga e lenta combustione. Un’opera che richiama il fuoco al centro della creazione. Un appello a Prometeo, dio degli artisti, della terra bruciata degli scultori, ladro del fuoco riservato agli Dei per donarlo agli uomini. Prometeo punito a sua volta da Giove. La prova della libertà. Soffrite come lui. Ma non abbiate paura di giocare con il fuoco.

Dipingere il cuore stesso del fuoco, viaggiare al centro della terra, dove fuoco e acqua si mescolano: il vapore. Grotte di fuoco, cavità dove fuoco e acqua si mescolano: motore. E così andare avanti. Avanzare contro il caos. Il mistero del nero delle origini. In principio non c’era nulla, quindi nero! Nero, quindi luce in rilievo, come dipinto da Pierre Soulages. Con la luce del fuoco. In principio era il fuoco! Come dice Empedocle, non c’è creazione dal nulla né distruzione assoluta. Tutte le nascite e le morti sono semplicemente la combinazione o la disunione di elementi primordiali. Da qui i quattro elementi, da qui il ritorno al fuoco.

Dal 13 al 19/9/24 Vasyl Netsko “Last Hope” Mostra personale al Medina Art Gallery

Dal 13 al 19 settembre 2024

MEDINA ART GALLERY – VIA MERULANA, 220

Last Hope

Mostra Personale  di

Vasyl Netsko

“IN THE FOOTSTEPS OF GREAT MASTERS” è l’ultima serie di dipinti del pittore ucraino Vasyl Netsko. L’autore, rivolgendosi ad alcune delle opere più famose e apprezzate della storia dell’Arte, crea interpretazioni contemporanee delle stesse.

Come risultato di questo confronto, vengono create opere intriganti, che sorprendono il pubblico con un riferimento al tema dell’originale, altri elementi-chiave e la trasformazione dei motivi attraverso le emozioni e le esperienze personali dell’artista. Con questa serie, l’intenzione dell’autore è allo stesso tempo reinterpretare vecchie opere e incoraggiare l’ascolto delle loro storie.

Il pezzo di apertura della serie, ispirato al “The Kiss” di Klimt, anche se pieno di oro e fiori, è innocente e affascinante nel suo messaggio. Un ritratto equestre di Napoleone, basato sulla rappresentazione idealizzata di J.L. David in riferimento ai giochi di guerra dell’infanzia. “Harmony of Chaos” raggiunge il subconscio molto più profondo della  scandalosa “Frenzy of Elation”. L’affascinante “Illusion of Solace” rivela il complicato rapporto degli amanti, usando i personaggi di Waterhouse, mentre “Masquerade” sedurrà con la combinazione tra l’essenza del carnevale e il ritratto più famoso al mondo…

Al momento, il ciclo è aperto. La sfida continua, e ogni opera viene creata nello stile dell’artista, riconoscibile e caratteristico.

Dal 6 al 12/9/24 “Studio Taki – Venus in Fur: an ode to Mosaki” Mostra d’arte personale al Medina Art Gallery

Dal 6 al 12 settembre 2024

MEDINA ART GALLERY – VIA MERULANA, 220

Studio Taki – Venus in Fur: an Ode to Mosaki

Fino al 12 Settembre in contemporanea alla 11a edizione di RIAF, la Rome International Art Fair by ITSLIQUID Group nelle galleries di Via Angelo Poliziano 32-34 e 4-6.

La solo exhibit rappresenta il culmine di quattro anni di esplorazione artistica di 𝗦𝘁𝘂𝗱𝗶𝗼 𝗧𝗮𝗸𝗶: un corpus di opere che celebra donne africane iconiche che hanno avuto un 𝗽𝗿𝗼𝗳𝗼𝗻𝗱𝗼 𝗶𝗺𝗽𝗮𝘁𝘁𝗼 𝘀𝘂𝗹𝗹𝗲 𝘀𝗼𝗰𝗶𝗲𝘁𝗮̀ 𝗺𝗼𝗱𝗲𝗿𝗻𝗲 𝗲 𝘀𝘂𝗹𝗹𝗲 𝗽𝘂𝗻𝘁𝗲 𝗽𝗶𝘂̀ 𝗮𝘃𝗮𝗻𝘇𝗮𝘁𝗲 𝗱𝗲𝗹𝗹’𝘂𝗺𝗮𝗻𝗶𝘁𝗮̀. Attraverso una fervida immaginazione, sogni e profezie sono portati in vita su tela, forme 3D e grandi formati, in 𝘂𝗻 𝗺𝗶𝘅 𝗱𝗶 𝗽𝗼𝗽 𝗮𝗿𝘁 𝗲 𝗱𝗲𝘀𝗶𝗴𝗻. Una testimonianza della fusione di identità e spazio, che riecheggia i temi centrali di RIAF. Studio Taki è una realtà internazionale artistica ampia e multidisciplinare con sede a 𝗣𝗿𝗲𝘁𝗼𝗿𝗶𝗮 𝗶𝗻 𝗦𝘂𝗱𝗮𝗳𝗿𝗶𝗰𝗮: una 𝗰𝗼𝗺𝘂𝗻𝗶𝘁𝗮̀ 𝗱𝗶 𝗮𝗿𝘁𝗶𝘀𝘁𝗶 𝗲 𝗰𝗿𝗲𝗮𝘁𝗶𝘃𝗶 guidati dal fondatore e direttore creativo 𝗠𝗿 𝗚𝗼𝗼𝗱𝘄𝗶𝗹𝗹 𝗠𝗼𝗸𝗼𝗸𝗮

Dal 30/8 al 12/9/24 11° edizione di RIAF “Rome International Art Fair” al Medina Art Gallery

Dal 30 agosto al 12 settembre 2024

MEDINA ART GALLERY

11° edizione di

RIAF

Rome International Art Fair

Fino al 12 Settembre nelle galleries di 𝘝𝘪𝘢 𝘈𝘯𝘨𝘦𝘭𝘰 𝘗𝘰𝘭𝘪𝘻𝘪𝘢𝘯𝘰 32-34 𝘦 4-6 a Roma, l’exhibition, a cura di Luca Curci , presenta artisti internazionali: PHOTOGRAPHY, PAINTING, VIDEO ART, INSTALLATION/SCULPTURE AND PERFORMANCE ART, in un forum per la condivisione ed il networking di idee, contatti e relazioni tra collezionisti, artisti, fotografi, designer, curatori ed operatori di settore. La mostra analizza, con un approccio immersivo, la relazione fra corpo e spazio con l’ibridazione tra identità e contesti culturali / fisici / sociali / urbani del contemporaneo. Due le sezioni principali: MIXING IDENTITIES and FUTURE LANDSCAPES.

Dal 2 al 7 /7/24 “Wag Art Festival” al Medina Art Gallery

Dal 2 al 7 luglio 2024

MEDINA ART GALLERY – VIA A. POLIZIANO, 32-34

Wag Art Festival

WAG International Artistic Organization è una rete internazionale di artisti, di tutte le discipline, con filiali nazionali e membership in tutto il mondo: dal 2008 un movimento costituito da più di 1.000 artisti per 70 nazioni, che ha pubblicato 18 libri, ricevuto il supporto di molte istituzioni tra le quali l’IPB (International Peace Bureau) ed organizzato 7 grandi festival artistici internazionali multidisciplinari: l’ultimo a Parigi prima di Roma 2024.

ARTISTI del Festival WAG Roma 2024 (pittori, iconografi, scultori, fotografi):

Ada Blau, lsrael

Beatrice Bracha Laszlo, lsrael

Ronit Koren lllouz, lsrael

Cristina Carri, Argentina

Lula Carri, Argentina

Vanessa Garside, United Kingdom

Janet Glynn Smith, United Kingdom

Richard Holt, United Kingdom

Aune MattiIa, FinIand

Agnes Mupariwa, Zimbabwe

Boris Pervan, Croatia

Rumy Renan, lsrael

Shula Ross, lsrael

Hanna Shahar, lsrael

Laila Sharmeen, Canada

Mark Thompson, United Kingdom

Iris Vrus, Croatia

Peter Weisz, Croatia

Mi Hyo Kim, South Korea

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WAG International Artistic Organization is an international network of artists, of all art disciplines with national branches and members around the world. From 2008 till today more then 1.000 artists from more then 70 states, published 18 books and got support by institutions, like IPB (International Peace Bureau). Seven big international multidisciplinary art festivals: the last one in Paris before Rome 2024.

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